Studiare o ripassare? Il momento giusto per scegliere cosa fare

Studio Vs RipassoÈ periodo di esami... avevo già trattato il tema della correzione tecnica nel post “Correggere solo quando è utile e focalizzarsi sull’essenziale”, dove sottolineavo l’importanza di non intervenire troppo presto sugli errori motori, per lasciare spazio all’apprendimento autentico. Qui affronto un altro aspetto dello stesso ecosistema didattico: la differenza — sottile ma cruciale — fra studiare e ripassare. Perché, soprattutto in prossimità di una prova importante saper scegliere cosa proporre ai candidati è parte dell’arte dell’insegnamento.

Studiare: costruire la conoscenza

C’è un tempo per studiare e un tempo per ripassare. Confondere l’uno con l’altro può mandare all’aria non solo un esame, ma anche un’intera preparazione tecnica e mentale. Studiare significa esplorare, creare connessioni, affrontare ciò che non sappiamo ancora. È un processo che richiede tempo, pazienza e una certa dose di frustrazione. È quando impariamo per davvero, spesso senza capire subito, che dentro di noi si muove qualcosa di nuovo. Ma c’è un momento in cui studiare non è più la priorità.

Ripassare: attivare ciò che già c’è

Avvicinandosi a un esame, un test, una prova… ripassare diventa fondamentale. Non è più il momento di costruire fondamenta: è il momento di rispolverare ciò che c’è, anche se traballante, rimettere ordine nelle mappe mentali, simulare, ricordare come reagire.

E questo vale anche nel contesto della difesa personale: nei giorni prima di un esame tecnico o di una dimostrazione, provare a imparare nuove tecniche può essere controproducente. Meglio concentrarsi sul far riemergere quegli schemi di movimento, quelle strategie, quei dettagli che abbiamo già dentro, e che vanno semplicemente riattivati.

Quando l'insegnante sa troppo (e rischia di dire troppo)

C’è un rischio sottile, spesso inconsapevole, che riguarda chi insegna: quando l’esperienza è vasta e il bagaglio tecnico è profondo, può nascere la tentazione di “guidare” l’apprendimento inserendo sempre la propria visione. Per quanto tecnicamente corretta, superiore, raffinata… questa visione rischia di soffocare il processo naturale dell’allievo, soprattutto in momenti come il ripasso pre-esame.

L’istruttore non dovrebbe essere la voce che sovrascrive, ma quella che scava, che aiuta l’allievo a far emergere ciò che ha già dentro, anche se imperfetto. Non serve aggiungere: serve facilitare l’accesso a ciò che è stato sedimentato. Anche perché, sotto stress, ciò che non è già integrato non verrà mai a galla.

Ripassare non è passività — è intelligenza

Ripassare bene richiede selezione, contestualizzazione, auto-riflessione. Non significa semplicemente ripetere come automi, ma ricostruire un filo logico, anche se traballante. Sì, magari i collegamenti sono deboli, ma sono tuoi, e in un contesto reale fanno la differenza.

Non ha senso cercare di imparare oggi quello che non si è imparato nel tempo di studio. Ha molto più senso cercare un modo per fare emergere — per quanto imperfettamente — ciò che si è già imparato, anche se è nascosto sotto strati di incertezza.”

Concludendo: imparare quando fermarsi… e fidarsi

Insegnare — e imparare — non è solo accumulare nozioni e correggere posture. È anche sapere quando fermarsi, osservare e valutare ciò che c’è già e quello che un allievo può costruire nel breve periodo, e stimolare fiducia nelle proprie capatità e in quello che si è sedimentato nel tempo.

Nel periodo degli esami, delle valutazioni, delle “prove” — tecniche o personali — il vero atto di maturità didattica è questo: non cercare di aggiungere, ma aiutare a ritrovare.

Che tu sia allievo o insegnante, ricorda che non si costruisce all’ultimo secondo ciò che richiede tempo e consapevolezza. Ma si può, con sensibilità e metodo, far emergere anche da ciò che è traballante… una base solida da cui ripartire.

Perché a volte, aiutare a ripassare bene è la più alta forma di rispetto verso lo studente e lo studio già fatto.

Ms Chatty Gipit

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